Negli ultimi decenni, l’attenzione della comunità scientifica e clinica verso trattamenti alternativi per l’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività) è cresciuta in modo significativo. Mentre i farmaci stimolanti come il metilfenidato e le terapie comportamentali continuano a rappresentare lo standard di cura, la loro efficacia non è sempre soddisfacente o duratura per tutti i pazienti. In questo contesto si inserisce il neurofeedback, una tecnica basata sulla neuromodulazione, che sta guadagnando terreno come potenziale approccio terapeutico per l’ADHD. Tuttavia, nonostante l’interesse crescente, l’efficacia del neurofeedback è ancora oggetto di acceso dibattito nella letteratura scientifica.

Cos’è il neurofeedback?
Il neurofeedback è una forma di biofeedback che utilizza l’elettroencefalografia (EEG) per monitorare l’attività elettrica cerebrale del paziente in tempo reale. Attraverso una serie di sessioni di allenamento, il soggetto impara gradualmente a modulare i propri schemi cerebrali, con l’obiettivo di migliorarne il funzionamento. In particolare, nel caso dell’ADHD, l’intervento mira a correggere le anomalie nelle frequenze cerebrali associate all’attenzione e al controllo degli impulsi. Una revisione sistematica (Saif & Sushkova, 2023) ha analizzato l’efficacia clinica dei protocolli neurofeedback il trattamento per l’ADHD.

I protocolli più utilizzati
I protocolli di neurofeedback applicati all’ADHD più frequentemente citati nella letteratura sono tre:
1. TBR (Theta/Beta Ratio): mira a ridurre il rapporto tra onde theta (lente) e beta (veloci), spesso alterato nei pazienti ADHD;
2. SMR (Sensorimotor Rhythm): si concentra sull’aumento della frequenza SMR, associata a stati di calma e vigilanza;
3. SCP (Slow Cortical Potentials): agisce sulla regolazione dei potenziali corticali lenti, coinvolti nei meccanismi di attivazione cerebrale.
Questi protocolli sono comunemente definiti “standard” nella ricerca scientifica, ma uno sguardo più approfondito rivela che, in realtà, sono ben lontani dall’essere applicati in modo uniforme. Mentre la banda di frequenza target è generalmente rispettata, gli altri parametri – come durata, numero di sessioni, modalità di feedback – variano considerevolmente da uno studio all’altro. Questa mancanza di standardizzazione rappresenta uno dei principali ostacoli alla valutazione dell’efficacia del neurofeedback.

Risultati contrastanti nella letteratura
Numerosi studi hanno investigato l’impatto del neurofeedback sull’ADHD, con risultati tutt’altro che univoci. Alcuni lavori suggeriscono che il neurofeedback possa essere efficace anche come trattamento autonomo, in grado di migliorare significativamente l’attenzione, ridurre l’impulsività e favorire la regolazione emotiva. Altri studi, invece, ne evidenziano un’efficacia limitata, paragonabile a quella di un placebo attivo o di altri interventi non farmacologici.
Anche le recenti meta-analisi e revisioni sistematiche mostrano risultati discordanti. Parte della responsabilità di tali incongruenze è attribuibile alla qualità metodologica degli studi considerati, ma esistono anche fattori più profondi legati alla natura stessa dell’ADHD e alla complessità del trattamento con neurofeedback.

L’importanza della personalizzazione
Uno degli aspetti più rilevanti emersi dalle recenti ricerche è che l’ADHD non è una condizione omogenea. Esistono almeno tre sottotipi clinici riconosciuti: il tipo disattento (ADHD-I), quello iperattivo-impulsivo (ADHD-HI) e quello combinato (ADHD-C). Ciascuno di essi presenta profili neurofisiologici differenti, che rispondono in modo diverso ai vari protocolli di neurofeedback.
Ciò implica che applicare lo stesso protocollo a tutti i pazienti, come spesso avviene nella pratica clinica e nella ricerca, può ridurre significativamente l’efficacia dell’intervento. Al contrario, la personalizzazione del trattamento, basata sull’analisi del QEEG (Quantitative EEG) individuale, sembra promettere risultati superiori. Alcuni studi hanno dimostrato che l’approccio informato dal QEEG consente di identificare anomalie specifiche nel pattern cerebrale di ciascun paziente, guidando la scelta del protocollo più adatto. Una revisione condotta ha confermato la maggiore efficacia dei protocolli personalizzati rispetto a quelli generici.

Limiti attuali e sfide future
Nonostante le sue potenzialità, il neurofeedback deve ancora affrontare importanti sfide prima di essere accettato come trattamento standard per l’ADHD. Innanzitutto, la diagnosi stessa del disturbo è complessa: i sintomi dell’ADHD si sovrappongono spesso a quelli di altri disturbi, rendendo difficile l’identificazione di marcatori EEG specifici. Inoltre, non tutti i pazienti riescono a imparare a modulare efficacemente la propria attività cerebrale, elemento essenziale per il successo del trattamento.
Anche fattori esterni influenzano l’efficacia del neurofeedback: la qualità dell’apparecchiatura EEG, la durata e la frequenza delle sessioni, la motivazione del paziente, e l’esperienza del terapeuta sono tutti elementi cruciali che possono determinare l’esito del trattamento. L’assenza di linee guida cliniche condivise su questi aspetti rende difficile il confronto tra studi e l’applicazione coerente nella pratica clinica.

Una strada da esplorare
Ciononostante, il neurofeedback rappresenta una strada promettente per il trattamento dell’ADHD, soprattutto se inserito in un’ottica di approccio multimodale e personalizzato. La sua natura non invasiva e l’assenza di effetti collaterali farmacologici lo rendono particolarmente interessante per pazienti refrattari ai farmaci o per famiglie in cerca di alternative più naturali.
Affinché il neurofeedback possa occupare un ruolo stabile nella terapia dell’ADHD, sarà necessario promuovere studi rigorosi, ben disegnati e replicabili, che adottino protocolli standardizzati o chiaramente personalizzati. È auspicabile anche lo sviluppo di linee guida cliniche condivise, che possano orientare i professionisti nella scelta e nell’implementazione dei trattamenti più appropriati.

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BIBLIOGRAFIA
Saif, M. G. M., & Sushkova, L. (2023). Clinical efficacy of neurofeedback protocols in treatment of Attention Deficit/Hyperactivity Disorder (ADHD): A systematic review. Psychiatry Research: Neuroimaging, 335, 111723.