COS’È IL SUICIDIO

Nell'ultimo periodo, si è diffusa l'idea erronea che il suicidio sia sempre il risultato di una malattia mentale e, di conseguenza, possa essere prevedibile. Tuttavia, il significato del suicidio non è stato costante nel corso del tempo e varia notevolmente tra le diverse culture. In occidente e nelle religioni monoteiste, il suicidio è considerato un atto estremamente grave sopratutto dal punto di vista religioso, poiché viene interpretato come una violazione della volontà divina e delle leggi divine. A partire dal XVII secolo, soprattutto in Inghilterra, è cambiata la concezione del suicidio, che progressivamente è stato considerato un comportamento patologico.

Nonostante spesso sia associato a disturbi psichici, studi recenti hanno dimostrato che i suicidi non sono sempre legati a tali problematiche, ma possono essere influenzati anche da situazioni sociali o politiche in cui il soggetto è coinvolto, dalla vergogna sociale, dalla rabbia e dall'impulsività. Il suicidio potrebbe essere motivato anche da vendetta,  dalla protesta o come reazione verso gli altri, come nel caso dei suicidi tipici degli atti terroristici, espressione di un odio distruttivo verso gli altri, o ancora come manifestazione di un valore divino, come nel caso dei martiri.

Il suicidio talvolta può essere un atto lucido e razionale, frutto di una decisione libera e consapevole da parte dell'individuo, oppure può essere motivato dalla volontà di porre fine a sofferenze fisiche insostenibili.

È POSSIBILE PREVEDERE IL SUICIDIO?

Attualmente, il suicidio viene spesso considerato espressione di disturbi psichiatrici, e questo suggerisce che sia prevenibile, diagnosticabile e curabile. Tuttavia, le ricerche e gli studi condotti sulle variabili coinvolte nei casi di suicidio hanno dimostrato che prevedere il suicidio non è possibile a causa della molteplicità dei fattori che entrano in gioco in questo gesto. Di conseguenza, l'idea che il suicidio sia prevedibile e prevenibile risulta essere principalmente un concetto culturale della società contemporanea, che cerca di negare la realtà della morte.

Il suicidio viene spesso associato alla malattia mentale, anche se Émile Durkheim, già nel 1897, delineava una distinzione tra due tipologie di suicidio: "patologico" e "normale". Quelli della prima categoria sono legati a disturbi psichiatrici, mentre i secondi derivano dalle interazioni tra individuo e ambiente.

Data la complessità del fenomeno suicidario, risulta difficile attribuirlo a cause specifiche, che possano essere contestuali, relazionali o ambientali.

I suicidi che seguono a eventi cruciali nella vita di un individuo, come la perdita del lavoro o eventi drammatici, possono far sembrare che vi sia una relazione diretta tra gli eventi e il suicidio. Tuttavia, queste relazioni vengono spesso espresse senza tener conto dei dati effettivi di coloro che si trovano nelle stesse situazioni drammatiche ma che non compiono l'atto suicida. Pertanto, fattori contestuali ed eventi negativi significativi possono contribuire al comportamento suicidario, ma non sono la sua causa diretta.

IL TENTATO SUICIDIO: UN SEGNALE D’ALLARME

Negli ultimi anni, l'attenzione verso il suicidio è cresciuta notevolmente, portando il Sistema Sanitario a considerare il tentato suicidio come un evento di allarme. Di conseguenza, la sanità sta richiedendo una maggiore attenzione verso gli individui ospedalizzati dopo un tentativo di suicidio.

Studi condotti presso l'Università La Sapienza di Roma hanno confermato l'imprevedibilità del suicidio, o di un tentato suicidio, anche in presenza di precedenti tentativi.

PERCHÈ IL SUICIDIO VIENE COLLEGATO ALLA MALATTIA?

La tendenza diffusa di associare il suicidio alla malattia è il risultato di diversi fattori, tra cui il desiderio comune della famiglia di trovare una causa ed una spiegazione per un evento così drammatico. Inoltre, la comorbidità tra suicidio e alcuni disturbi psichici contribuisce ad intensificare questa percezione. In particolare, questa relazione viene spesso osservata in connessione con la depressione, il disturbo bipolare, le schizofrenie e i disturbi di personalità.

La presenza di comportamenti suicidari o tentativi di suicidio in individui affetti da tali disturbi, soprattutto in relazione alla depressione, ha alimentato l'erronea convinzione che il suicidio sia una diretta conseguenza di stati depressivi.

PREVENIRE IL SUICIDIO

Il suicidio non può essere considerato prevenibile nel senso specifico del termine, poiché non è possibile tener conto di tutti i diversi fattori che possono influenzare la decisione e l'esecuzione di tale comportamento. Tuttavia, è fondamentale prestare attenzione e offrire supporto a coloro che presentano numerosi fattori di rischio, tra cui ideazione suicidaria pregressa, segni di disagio esistenziale, problematiche legate all'autostima e disturbi psichici correlati.

La vigilanza nei confronti dei cambiamenti nel comportamento individuale è particolarmente importante, come ad esempio il distacco dalle relazioni familiari, l'abbandono degli interessi personali e comportamenti pericolosi. È importante ricordare, tuttavia, che la presenza di questi fattori non necessariamente conduce a un comportamento suicidario.

LA RESPONSBAILITÀ PROFESSIONALE NEI CASI DI SUICIDIO

Gli psicologi, gli psicoterapeuti e gli psichiatri sono sempre più spesso chiamati in causa per quanto riguarda la loro responsabilità in relazione ai casi di suicidio. Tuttavia, tale responsabilità spesso viene attribuita a loro per il senso di frustrazione e impotenza che i familiari della vittima provano nel cercare un colpevole per quanto accaduto.

La responsabilità viene comunemente attribuita dai parenti ai professionisti che avevano in carico l'individuo precedentemente all'atto suicidario, soprattutto in relazione ai disturbi psichiatrici. Tuttavia, nell'attribuzione di questa responsabilità, si tende spesso a confondere il fattore di rischio con il fattore causale. Mentre il fattore di rischio, quando presente insieme ad altri, aumenta la probabilità che un evento si verifichi, non è determinante. Infatti, anche se un fattore di rischio è presente, non è detto che si verifichi un comportamento suicidario. Di conseguenza, questa associazione non può essere ricondotta a un rapporto di causa ed effetto.

Un professionista non può essere considerato dunque responsabile del comportamento suicidario di un suo cliente se si considera solamente la presenza di fattori di rischio di cui il terapeuta era consapevole.

COSA SI PUÒ FARE?

Riconoscere il suicidio come un comportamento imprevedibile consente ai professionisti di affrontare e sostenere le emozioni negative che possono emergere nel caso in cui un loro cliente si trovi ad affrontare tale situazione. La tendenza dei familiari e degli amici della vittima a incolpare il professionista per quanto accaduto può essere vista come un tentativo di alleviare il dolore, ma questo rischia di sovrastimare la responsabilità professionale.

Pertanto, il professionista deve adottare tutte le misure che ritiene necessarie per sostenere una persona che mostra segni di comportamento autolesivo o presenta numerosi fattori di rischio. Per via della complessità dell’atto suicidario, non è dunque possibile definire come responsabile il professionista che aveva in carico la vittima.

SITOGRAFIA

Castrucci, L. (2024). La prevenzione del suicidio: lo studio dei metaboliti cellulari apre nuove prospettive. Tratto da State of Mind: https://www.stateofmind.it/2024/02/prevenzione-suicidio-metaboliti/

Psichiatria, R. d. (2016). Sull’imprevedibilità del suicidio. Tratto da Rivista di Psichiatria: https://www.rivistadipsichiatria.it/archivio/2476/articoli/25882/

Salutepsi.ch. (s.d.). Disagio esistenziale e suicidio. Tratto da Salutepsi.ch: https://santepsy.ch/it/la-sante-mentale/detresse-et-suicide/